Nasce a Milano il 20 ottobre 1941, da genitori di origini trapanesi. Negli anni ‘60 si laurea in giurisprudenza a Roma, dove la famiglia si è spostata a seguito del trasferimento del padre (anch’egli magistrato) in Cassazione.
Entra in Magistratura nel 1970 e nel 1971 diventa sostituto procuratore della Repubblica di Trapani. Diventa un punto di riferimento per Giovanni Falcone che svolge alcune funzioni presso gli uffici trapanesi e con lui è protagonista di un grave episodio, gestito con fermezza ed equilibrio: il 9 ottobre del 1976 è infatti chiamato ad intervenire presso il carcere di Favignana dove un detenuto, armato di coltello, terrà sotto sequestro per un intero giorno Falcone, all’epoca magistrato di sorveglianza, che si trovava nella casa di reclusione per ascoltare i detenuti che gli avevano chiesto colloquio.
Dopo essere stato pubblico ministero processo al “Mostro di Marsala”, Michele Vinci, accusato di aver rapito e poi fatto morire in un pozzo tre bambine, tra cui la nipote, comincia ad indagare sui rapporti fra il mondo imprenditoriale e bancario e le cosche trapanesi, in particolare quella dei Minore: Antonino detto “Totò”, Calogero, Giuseppe e Giacomo, coinvolti in varie indagini come il finto sequestro dell’industriale Rodittis e quello di Luigi Corleo. Altri filoni d’indagine riguardano gli appalti truccati e le speculazioni edilizie, il “sacco” del Belice (dopo il terremoto del 1968); la droga e le raffinerie dell’eroina nel trapanese, i traffici di armi e le frodi comunitarie; l’inquinamento del golfo di Cofano, uno dei più bei paesaggi della Sicilia, messo a rischio dagli scarichi illegali e dal tentativo di costruirci negli anni ’70 una raffineria di petrolio, sponsorizzata dalle famiglie mafiose locali e da qualche sindaco colluso.
Grande conoscitore dei fenomeni mafiosi e antesignano della lotta ai clan attraverso il lavoro in pool e con l’utilizzo di metodi di indagine e di ricerca della prova allora considerati innovativi – come il controllo delle operazioni bancarie e la necessità di istituire un’anagrafe bancaria – Ciaccio Montalto è il primo ad occuparsi della mafia del trapanese. Riteneva che la magistratura – piuttosto che osservare il fenomeno mafioso soltanto in occasione dei processi in corso – dovesse analizzare costantemente tutto quanto potesse essere ricondotto all’attività della criminalità organizzata e individuare idonei strumenti investigativi e culturali per avere una visione d’insieme degli affari delle cosche aggiornata e di pronta consultazione.
Nell’ottobre del 1982 spicca quaranta ordini di cattura per associazione mafiosa contro mafiosi e imprenditori della zona, che però vengono tutti scarcerati per insufficienza di prove nel giro di qualche mese. Per questo riceve delle minacce e azioni intimidatorie.Nonostante questo non aveva né scorta né auto blindata.
Deluso dal risultato delle sue inchieste, decide di chiedere il trasferimento per continuare il suo lavoro alla Procura di Firenze. Successive indagini dimostrano come in Toscana la cupola, e quella trapanese in particolare, avesse già i suoi uomini, non solo “picciotti” ma anche “colletti bianchi” come verrebbero chiamati oggi, professionisti, uomini di banca, imprenditori.
Scopre in Toscana gli interessi della mafia cortonese e trapanese insieme. E da pubblico ministero a Firenze è sul punto di muoversi: la pista che sta seguendo è quella dei soldi, dei beni e arriva a mettere le mani su alcuni beni mafiosi grazie anche all’entrata in vigore, alla fine del 1982, della legge Rognoni-La Torre sul sequestro e la confisca dei beni alla mafia.
Tre settimane prima di essere ucciso, Ciaccio Montalto va a Trento per incontrarsi con il procuratore Carlo Palermo al fine di scambiarsi informazioni riservate sull’inchiesta che riguardava il traffico di stupefacenti.
La sua vicenda umana e professionale si conclude nella notte del 25 gennaio 1983 in una stradina di Valderice, dove risiedeva da poco tempo: ha appena parcheggiato davanti al cancello della villetta, mentre sta per scendere dall’auto viene raggiunto da diversi proiettili (14 secondo l’esame autoptico) di diverso calibro, uno dei quali colpisce anche l’orologio della vettura che, fermandosi alle ore 1.12 attesta l’ora dell’agguato.
Sulla scena del delitto furono rinvenuti ben 23 bossoli. In una zona ad alta densità, con villette limitrofe distanti pochi metri l’una dall’altra, nessuno “sentirà”, né “si accorgerà” del cadavere del giudice, riverso tra il sedile di guida e quello del passeggero. Solo alle 6.30 un contadino ne denuncerà la presenza. Poche ore dopo i funerali, il Presidente della repubblica, Sandro Pertini, presiede una riunione straordinaria del Consiglio Superiore della Magistratura a Palermo (è la prima volta che il plenum del Consiglio si riunisce al di fuori della sede istituzionale di Roma) ed esprime parole di grande riconoscimento e di fiducia: “Questa seduta intende tributare un affettuoso e doveroso omaggio alla memoria del magistrato caduto […]. Giacomo Ciaccio Montalto [è] caduto nel pieno vigore della sua vita; magistrato dal forte ingegno e dal coraggioso rigore nell’affrontare la mafia, questa ignobile minoranza che non riuscirà mai a contaminare il sano popolo siciliano”.
Dell’omicidio viene sospettato il boss trapanese Salvatore Minore, già ricercato per omicidio e associazione mafiosa in seguito alle inchieste di Ciaccio Montalto. Si accerta solo nel 1998 che Minore era stato ucciso nel 1982 dai Corleonesi e il suo cadavere fatto sparire, ma nel frattempo era sato condannato nel 1989 in primo grado all’ergastolo in contumacia per l’omicidio del magistrato, insieme ai mafiosi siculo-americani Ambrogio Farina e Natale Evola, ritenuti gli esecutori materiali del delitto. I tre imputati vengono poi assolti nel 1992 dalla Corte d’Appello di Caltanissetta e la sentenza d’assoluzione viene confermata nel 1994 dalla Cassazione.
Nel 1995 le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (Rosario Spatola, Giacoma Filippello, Vincenzo Calcara e Matteo Litrico) consentono l’individuazione dei veri responsabili dell’omicidio: vengono rinviati a giudizio i boss mafiosi Salvatore Riina, Mariano Agate, Mariano Asaro (ritenuto l’esecutore materiale) e l’avvocato massone Antonio Messina, accusati di aver ordinato il delitto perché il trasferimento ormai deciso del magistrato alla Procura di Firenze avrebbe minacciato gli interessi mafiosi in Toscana. Nel 1998 Riina e Agate vengono condannati all’ergastolo in primo grado mentre l’avvocato Messina e Mariano Asaro sono assolti; la sentenza è confermata anche nei successivi due gradi di giudizio.
Filmografia
La Memoria. Magistrati uccisi da mafie e terrorismo. Ray Play
Cose nostre. Un giudice solo. Rai Play
Bibliografia
S. Mugno “Una toga amara: Giangiacomo Ciaccio Montalto, la tenacia e la solitudine di un magistrato scomodo” Di Girolamo Edizioni